In questi giorni di esami leggo di proteste per la DAD da parte degli studenti. Qui di seguito una riflessione su questo periodo che ho letto in collegio docenti nella mia scuola il 12 giugno. Si tratta del mio punto di vista da docente.
Proteste per la DAD, ma siamo reduci da un periodo tremendo
Siamo reduci da un periodo tremendo di isolamento e di incertezza. Il nostro lavoro, lo sappiamo tutte e tutti, ne ha risentito molto. Credo che come docenti abbiamo dato il massimo, ognuno secondo le proprie possibilità, perché credo che tutte e tutti i docenti di questa scuola siano appassionati e desiderino far crescere e maturare i propri studenti fornendo loro quelle competenze che li faranno diventare esseri umani adulti, maturi ed in grado di misurarsi al meglio con il difficile mondo che li aspetta.
Non tutto è stato “rose e fiori”, però. Siamo stati costretti a rivedere i contenuti, adattarli, ritagliarli, e adattarli di nuovo alle mutate condizioni al contorno, spesso con il rischio di privarli di parte del loro stesso valore intrinseco.
Abbiamo soprattutto dovuto tagliare il momento di discussione e contestualizzazione dei concetti, le riflessioni che avevano accompagnato le nostre spiegazioni, per renderle meno asettiche e collegarle alla vita dei nostri studenti.
Abbiamo dovuto tagliare le conversazioni sulla porta con i nostri studenti e con i colleghi, che spesso portano a riflessioni non previste su problemi della classe o dei singoli studenti e a come risolverli, senza rinchiuderle nella struttura del consiglio di classe.
La didattica a distanza, con classi numerose come le nostre, infatti, baratta l’attenzione dei più attenti con le difficoltà dei più deboli, coloro che hanno maggiore bisogno di strumenti di inclusione per poter partecipare alle lezioni in maniera fruttuosa.
Chi ne ha fatto le spese?
Chi ne ha fatto le spese sono stati, quindi, i deboli da vari punti di vista:
- Cognitivo: non solo i ragazzi portatori di handicap, spesso già seguiti efficacemente da educatori e insegnanti di sostegno, anche se sono quelli che avrebbero avuto bisogno bisogno di un maggior numero di ore e, soprattutto per i casi più gravi, di contatto fisico. Mi riferisco invece a tutti i DSA e BES, ai quali in classe si riesce a fornire maggiore attenzione e contatto, ma soprattutto stimolo, soprattutto grazie al contatto diretto, anche solo visivo.
- Familiare: per questi ragazzi la presenza a lezione era spesso una casualità più che un impegno. Abbiamo alunni già in difficoltà in presenza, spariti dai radar, ove pur sollecitando le famiglie non sono riapparsi se non sporadicamente. Per questi ragazzi il luogo fisico diventa un punto di incontro e confronto obbligato con ragazzi che provengono da altre realtà e stimolo per una crescita personale.
- Tecnologico, e questo vale anche per alcuni docenti. Forse la debolezza più facile da affrontare, perché basta dar loro i tablet della scuola. Spesso però un tablet non è sufficiente. Attività laboratoriali specifiche richiedono altri strumenti.
- Geografico: si dà per scontato che tutti i ragazzi siano connessi in modo soddisfacente, ma in alcune zone del nostro Paese questo semplicemente non è vero o possibile. Siamo un Paese molto diverso e le province di provenienza dei nostri alunni non fanno eccezione.
- Economico: coloro che non hanno una stanza tutta per loro, coloro che devono condividere lo strumento informatico con genitori o fratelli, le famiglie non possono permettersi una connessione sono svantaggiati nell’apprendimento.
In quanto istituzione scolastica potevamo fare poco (e spesso abbiamo fatto di più), ma non credo che una scuola possa accontentarsi di questo.
Quando a settembre ci chiederanno di ricominciare a distanza sarà necessario fare una accurata riflessione su cosa sia la scuola e se essa voglia ancora essere uno strumento di inclusione, democratico, di ascesa sociale, e a disposizione delle classi più disagiate per riscattarsi, o se al contrario lasceremo che i più deboli rimangano semplicemente indietro perché noi siamo occupati a spiegare ai ragazzi di buona famiglia.
Prof. Pierluigi Luisi
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